venerdì 27 luglio 2007

Il Canto di Antija - 1

Le Colline di Polvere

La mattina presto, poco prima dell’alba, la temperatura scende al valore più basso della giornata.

Il vento, carico di tutto il gelo accumulato nella notte, taglia il volto con acuminati coltelli di ghiaccio. Il corpo, ammantato in stracci cuciti insieme da vecchie vesti sfilacciate, sosteneva a stento il passo sempre meno rapido della figura curva stagliata sulla cima delle Colline di Polvere. Un inarcamento della schiena era tutto quello che si riusciva a capire della fisionomia del proprietario di quelle vesti, quasi per uno scherzo della natura accompagnata da una struttura fisica possente. La sua sola presenza in quel punto sarebbe risultata comunque trascurabile, se non altro perché il passo incerto pareva tradire una spossatezza destinata, di lì a breve tempo, a trasformare questa gelida alba invernale nell’ultima vissuta dal viandante.

Un ultimo passo, quindi il piede si ferma. Un suono lento e lugubre accompagna adesso le lame di ghiaccio. Il canto …

« Qualcuno … è vicino … »

Un attimo di indecisione, poi il corpo cade sulla polvere compatta producendo un sordo tonfo, a malapena attutito dagli stracci. Qui giace, immobile, come morto. Trascorrono lunghissimi istanti in cui il suono si fa sempre più vicino e minaccioso, fino a che un rumore simile a rami spezzati, o a quello che potrebbe produrre un sacchetto pieno di ghiaia, non termina a pochi passi dalla polvere dove giace.

Rosmun, riverso a terra, aprì gli occhi per cercare di sbirciare la figura in piedi dinanzi a lui. Non aveva fatto ancora i conti con la stanchezza che sconfiggeva il suo corpo e stravolgeva la sua mente. Aveva passato le ultime settimane da solo, esplorando un’area di migliaia di ettari in cui il tono dominante era un lugubre grigio cenere, quasi completamente priva anche delle più semplici forme di vita, e questo lo rendeva vulnerabile a qualsiasi aggressione, ne era cosciente con l’ultimo barlume di razionalità rimastogli. Soltanto adesso si rendeva conto che erano non meno di tra giorni che camminava senza aver fatto alcuna sosta, avvolto nelle tenebre più o meno dense che talvolta si sviluppano in queste terre desolate. Si stupì a chiedersi quanto temo era passato dall’ultima volta che aveva incontrato un essere vivente … giorni, settimane … foirse anni?

La mente lentamente cedeva. Sarebbe così finito il tormento che lo angustiava. Finalmente, senza strepiti né esplosioni, senza nessuno che lo piangesse, solo come era stato in vita. Quasi rimpiangeva la presenza di quella creatura intorno che rendesse meno perfetta la sua dipartita, o forse era stata inviata da una delle divinità da lui maledette per prendersi l’ultima rivincita su questo misero corpo, martoriato da decenni di sofferenze.

Comunque fosse andata, finalmente stava per incontrare l’unico abbraccio che aveva sempre sentito vicino a sé, l’unico che poteva accettare senza temere la repulsione per il corpo deforme che lo accompagnava fin dalla nascita. Un ultimo respiro, e poi …

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Era troppo stanco per pensare.

Era troppo stanco anche per rendersi conto che veniva sollevato come una spiga di grano da una figura che fino a poco prima lo stava guardando incuriosita per la strana scoperta.

« Che strano » pensava Rosmun « non voglio morire »

Il volto del soccorritore spiccava sotto il cappuccio. Soltanto, non aveva l’aspetto di un soccorritore. Innanzitutto, mancava qualcosa.

Era sicuramente necessario qualcosa a quel volto, occorreva dannatamente quello per rendere quel volto più reale. Troppo affilato, troppo inespressivo, troppo cinereo. In preda alla confusione e dopo settimane di isolamento dal mondo, Rosmun faceva fatica a capire cosa non andasse, ma qualcosa gli sfuggiva, qualcosa che si trovava lì, dannatamente davanti ai suoi occhi. Le ultime gocce di coscienza scivolavano rapidamente via rendendogli difficile associare le idee, ma il suo istinto lo spingeva a divincolarsi. Soltanto gli occhi di quella creatura lo calmavano. Due occhi di un turchese brillante e sfacciato, accesi di vitalità e di forza, dall’iride marcatamente nera come la notte, che adesso lo guardavano fisso. Il sorriso era eccessivo, pareva non finire con il volto ma continuare oltre i limiti che la natura aveva messo alla sua faccia, un volto scarno e consunto. Eppure il suo corpo non riusciva a fermare un brivido ed una emozione che gli riscaldava il sangue; ogni parte del suo essere pareva gridare qualcosa che la sua mente non riusciva a collegare a ciò che vedeva. Soltanto un ultimo guizzo di coscienza gli fece notare il naso piatto e le froge enormi, innaturalmente troppo aperte, incavate al centro di un volto chiaro e levigato.

Una faccia lucida e liscia, come solo un cranio appena spolpato poteva essere. Un teschio ghignante su cui spiccavano i due bulbi oculari, privo di qualsivoglia parvenza di carne e con la dentatura perfetta e con gli occhi fissi sul suo volto, avvolto da un manto nero pece.

« non è arrivato il mio momento … non deve … non a me! » Fu l’ultimo pensiero che attraversò la sua mente stremata mentre tentava di dimenarsi. Il suo corpo reagì a questo guizzo di energie con l’unico movimento sincopato della mano destra, poi il buio lo avvolse, un’oscurità ben più tetra della notte, che solo si può trovare sulle Colline di Polvere.

[...continua...]

2 commenti:

Tebryn ha detto...

Per lo meno il volto di chi lo ha svegliato sorrideva... sogghignava forse è meglio.
Vai, continua presto, che qua l'avidità da lettore incallito scalpita e scalcia!

Solomon ha detto...

cavolo non puoi lasciare così...comunque rende il pathos, anche se un po' più di pensieri di Rosmun ci starebbero bene (conta che parlo per esperienza personale)...CONTINUA!